Manager sani in aziende sane. Un’idea che, nell’ecosistema del nuovo umanesimo del lavoro in cui la persona è al centro e il benessere dei lavoratori va inteso in toto, non solo dal punto di vista fisico ma anche mentale e sociale, incarna un mantra che, tuttavia, stride totalmente con quell’immagine restituitaci da Freudenberger, lo psicoterapeuta americano che, con il termine "burnout", ha fornito una definizione tangibile del lavoratore che, letteralmente, "si brucia" perché logorato, consumato, esaurito dal porre eccessive richieste alle proprie energie o risorse. Eppure, lo spettro del burnout aleggia in tutti i settori.
È Workday, fornitore che offre soluzioni aziendali che aiutano le organizzazioni a gestire le proprie persone e il denaro, a fare luce prima ancora che sul burnout clinico che richiederebbe la valutazione da parte di un professionista medico qualificato, sul rischio di burnout, lavorando così nell’ottica di una possibile prevenzione. A tal proposito, il report Workday voice of the employee: addressing organisational burnout risk rivela che circa il 27% dei dipendenti è ad alto rischio di burnout. Stando ai dati, poi, emerge nitidamente un nesso in grado di creare un potenziale effetto domino che mina l’engagement e la produttività a tutti i livelli: il rischio di burnout organizzativo, infatti, si diffonde dai manager ai dipendenti, specie se in assenza di un piano per migliorare il benessere generale di questi ultimi o in mancanza di assistenza dell’AI e di altre tecnologie.
Più nel dettaglio, dal sondaggio condotto tra 2,6 milioni di dipendenti in oltre 850 aziende e 12 settori in tutto il mondo, risulta che il 33% dei manager delle organizzazioni ad alto rischio di burnout rientra nella categoria a rischio elevato, rispetto al 15% delle organizzazioni a basso rischio. In altre parole, i manager delle organizzazioni ad alto rischio hanno due volte più probabilità di sperimentare lo stress lavorativo. Va da sé una fenomenologia a cascata che si estende in tutta l'organizzazione che, se è ad alto rischio di burnout, vede un dipendente su due esserlo, a sua volta, quando anche il manager è in cattive condizioni di salute.
Il burnout, dunque, pervade le vite di chi lavora e lo fa in tutti i settori, seppur in modi ed entità differenti. In tal senso, con una percentuale pari al 50% o più, sono le organizzazioni gravitanti negli ambiti di governo, media e intrattenimento, energia e risorse ad essere maggiormente esposte allo stress lavorativo sebbene i primi due ambiti abbiano entrambi apportato miglioramenti in confronto al 2022, rispettivamente del 17% e del 12%. Degno di nota è il dato inerente al settore sanitario che si distingue dagli altri per la percentuale relativamente bassa di organizzazioni ad alto rischio (29%), oltre a presentare un miglioramento dell’11% rispetto al 2022. Ma è l’industria dei trasporti, con il suo 25%, ad aver registrato la più rilevante diminuzione di aziende ad elevata probabilità di stress lavorativo. Un ulteriore miglioramento, in questo caso del 4% in relazione ai livelli del 2022, si attesta nel settore dei servizi finanziari dove il 18% delle organizzazioni risulta essere ad alto rischio di burnout. Opposto, invece, è il dato di un aumento dell’8% emerso tra le organizzazioni tecnologiche dove è il 23% a trovarsi ad affrontare un maggior pericolo di burnout.
Ma cosa possono fare le realtà aziendali per ridurre tale rischio? Migliorare il coinvolgimento dei dipendenti e trattenere i talenti restano, senza dubbio, i punti fermi per il successo ma - come fa notare Fabrizio Rotondi, country manager per l’Italia di Workday - “sebbene molte organizzazioni comprendano che le persone rappresentino una delle risorse più importanti, il desiderio di maggiore efficienza e produttività può comportare ulteriore stress per la forza lavoro. Migliorare la salute e il benessere dei dipendenti non è solo la cosa giusta da fare, ma può anche contribuire a ridurre i costi associati all’assenteismo e al turnover”. Proprio in fatto di turnover, i dati emersi dal report Workday hiring and talent trends hanno evidenziato che per la maggior parte delle organizzazioni il turnover volontario è in calo, mentre quello involontario è in aumento e i candidati esterni competono per un minor numero di posizioni aperte. Questa mancanza di mobilità e crescita, combinata con le continue pressioni esterne, spiana la strada al burnout.
Di qui, la necessità di allineare i valori aziendali con i risultati desiderati in termini di salute e benessere. “I leader aziendali - spiega Rotondi - sentono sempre di più la necessità di adottare un approccio basato sui dati per misurare il sentimento dei dipendenti al fine di limitare il rischio di burnout”. Un valido supporto, a questo proposito, giunge dall’uso dell’intelligenza artificiale poiché “ha il potenziale per aiutare le organizzazioni ad automatizzare compiti ripetitivi e dispendiosi in termini di tempo, permettendo alle persone di lavorare su attività ad alto valore aggiunto”, conclude Rotondi.